Mercoledì 10 Ottobre 2018, ore 20:36
Di nuovo un orario non molto consono per riflettere su me stesso, in un periodo molto impegnativo della mia vita sia dal punto di vista dello studio che, soprattutto, dal quello emotivo. Non mi diverto oggi a scrivere -come spesso capita- perchè oggi voglio riversare sul mio blog anonimamente e solitariamente pubblico i pensieri che mi ronzano per la testa come mosche fastidiose, che vorresti scacciare ma che alla fine sai di non poter allontanare. Quelle mosche che dopo un po’ lasci ronzare attorno a te, quando guardandole con sgardo di resa ti rendi conto che hanno un nome, e quel nome è: “delusione”.
Sono deluso, si.
Deluso da diverse cose, che elencherò e analizzerò con ordine cercando di riordinarle nella mia testa, ma che globalmente mi caricano di sconforto e mi spingono a riflettere, con serietà, su cosa voglio fare della mia vita di qui in avanti.
La prima delusione è quella forse più importante, quella politica. La politica che ho sempre seguito e per la quale, da quattro anni a questa parte, mi sono sempre battuto, mi ha deluso. Mi ha deluso vedere come i miei sogni, le mie speranze, il mio desiderio ardente di un mondo diverso ed un futuro migliore per tutte e tutti quelli che mi circondano, per tutte e tutti quelli che vedo in difficoltà, per tutte e tutti quelli che sono schiacciati dal peso di questa esistenza ingiusta che li vuole vittime… come tutto questo scompaia davanti alle parole, ripetute in eterno da chi mi circonda, “compromesso”, “accontentarsi”, “pragmatismo”. Quella speranza indistruttibile che mi reggeva in piedi ogni giorno, quel mio credo che nello spirito resisteva come acciaio davanti ai fallimenti e alle piccole sconfitte, è stato man mano scalfito dai miei compagni di strada, da tutte quelle persone che davanti alle mie parole mostravano un sorriso amaro, una pacca sulla spalla seguita dal “te si giovane…” e da quella fiacchezza accompagnata da bicchieri di vino prima e dopo le nostre inutili assemblee, nelle quali non si concludeva nulla e dalle quali ogni germoglio che cercava di nascere è stato sempre strappato e gettato via. Tutto questo, tutta questa cappa afosa di disillusione e di incapacità di sperare davvero in qualcosa di diverso, mi ha tolto sempre più le forze per andare avanti, mi ha reso incapace di dover reggere, oltre che me stesso, anche tutte queste persone sulle mie spalle. Perchè lo so, è vero che i miei sorrisi hanno aiutato tanto quei cinquanta-sessantenni arresi ad un presente che non si aspettavano di rivedere, la mia voglia di fare ha dato speranza agli ottantenni che, davanti al crollo dei loro ideali, vedevano la mia forza che trascinava avanti un carro altrimenti perennemente fermo. E’ vero, è tutto vero ma non ce la faccio ad andare avanti da solo. Non ce la faccio a proseguire il mio impegno in direzione ostinata e contraria in ambienti dove poi alla fine la mia opinione conta poco davanti agli accordi, ai compromessi, alle strette di mano con chi ha sempre tradito ma, sempre, è stato premiato grazie ai tramacci, ai sotterfugi, al denaro che ha, al consenso comprato e non guadagnato con la fatica, la faccia e la fiducia. No, io non posso proseguire questo percorso, è troppo difficile reggere continue delusioni e non posso continuamente abbassare la faccia ed inghiottire bocconi amari in nome di chissà quale “male minore”. Basta compromessi inaccettabili, basta autocastrazione ed autocensura, è una lotta inutile che continuo a combattere contro me stesso quando invece i miei sforzi dovrebbero essere protesi altrove, verso chi davvero ha bisogno e sempre viene dimenticato. Ormai il “finto alternativo” mi disgusta, il “perbenismo” mi schifa, non ce la faccio più a starmene là in mezzo, in quell’ambiente slegato dalla realtà dove i più anziani sono troppo stanchi per far valere la loro voce ed i più giovani sono dei benestanti che col cavolo che rinunciano al loro stato sociale, figuriamoci se rinunciano alla loro faccia per gli altri. Io, io che in questo mondo ero entato con tanto entusiasmo quattro anni fa, io che a questo mondo non ho dato tutto, no, ma ho dato tanto per quel che erano le mie disponibilità, ebbene io mollo. Io ne esco. Io non ci sto più. Non è quello il cui credevo, non è quello in cui speravo, non vedo più quella fiamma che ci univa ma solo grigiore e tristi braci che negli altri vanno spegnendosi: potrei provare a soffiarci sopra per riaccenderle, potrei aggiungere qualche pezzettino di legno, un po’ di carta per poter tentare di far ripartire una fiammella di speranza… ma non lo voglio più fare, almeno non ora. Ho esaurito la legna, la carta, il fiato, ho esaurito tutto.
Questa mia delusione si lega pure ad un altro problema, un pensiero che è emerso parallelamente a questa mia disillusione e che ora come ora devo affrontare con la giusta serietà. Parlo del mio essere diverso.
Io sì, cari amici, sono diverso. Diverso da sempre, diverso da mai, diverso da molti, diverso da nessuno, diverso dallo standard, dagli stereotipi, diverso da tutto e tutti. Io sono diverso perchè mi sento, e mi sono sempre sentito, diverso da voi: ho sempre percepito quella distanza che, in modo impalpabile ma forte, imponeva barriere tra me e gli altri.
La leggenda vuole che sin dalla nascita le infermiere del reparto di maternità mi chiamassero, fra di loro, “il vecio”: il bambino bello come gli altri, sì, ma che diversamente dagli altri non piangeva mai, non si lagnava, ma in modo “maturo” stava al suo posto, quasi fosse più “vecio” degli altri. Di qui in poi, neanche a volerlo, questa mia caratteristica si è sempre fatta notare ed è sempre stata evidenziata, nel bene e nel male, da chi aveva a che fare con me. La mia precocità nel parlare prima che del camminare, il mio essere un “bravo bambino” che però veniva emarginato all’asilo perchè figlio di foresti sono stati il leitmotiv di questi primi anni di vita, proseguiti con una discriminazione sempre maggiore nel profondo della provincia veneta, la provincia che ti schifa se non sei di sangue locale, che ti osteggia se i tuoi genitori la pensano diversamente dal prete del paese, che ti osserva con invidia e disgusto se sei il più bravo a scuola. Eccola qui, di nuovo, fortissima, la mia diversità. Diversità che ha segnato la mia infanzia e che in modo brutale ed inevitabile mi spinge lontano da tutte e tutti voi che mi state leggendo, e che magari pure mi avete conosciuto senza saperlo: voi che eravate dall’altra parte del confine, oltre quella riga sul selciato che ha sempre separato me da tutti, tutti gli altri, inclusi voi. Voi che non vi odio ma vi ho odiato, voi che ci parlo assieme ma che un po’ vi vorrei superare in tutto, per dimostrarvi che il diverso è diverso perchè è meglio di voi, merde. Voi provincia, voi gente per bene, voi banali, voi normali, voi che non vi discosterete mai dalla massa a meno che non vada di moda, perchè siete massa e siete una massa che non mi ha mai voluto avere con se, senza che io avessi colpe, ma solo perchè ero diverso da voi.
Gli anni sono passati ed è arrivata la mia maturità, segnata dalla diversità del mio essere, ancora una volta, vecio. Il ragazzino che a dodici anni aveva già la barba, quello che era alto e maturo, quello che i professori stimavano ma che avrebbe preferito essere stimato dai suoi compagni, piuttosto, si proprio lui, il Diverso, è cresciuto. Ha conosciuto man mano il mondo, iniziando a capire che tutto quello che lo distingueva dagli altri, tutto quello che lo allontanava dalla massa, quella mano invisibile che con incredibile forza lo teneva fuori dal campo di gioco, fuori dal parco, fuori dalle feste e dalle compagnie, fuori dai sorrisi degli altri e dagli inviti, beh tutto questo aveva un nome. Aveva una ragione. Aveva un significato. Era tutto così impalpabile per il Diverso, che passò anni a crucciarsi di che cosa fosse quella mano che lo spingeva lontano, verso direzioni fosche e poco chiare: se ne crucciava terribilmente, e affranto dall’incapacità di comprendere il perchè di quel suo esilio forzato dalle gioie altrui si faceva passare la fame e la voglia di impegnarsi, scaricando la frustrazione in parte nello sport, ed in parte nella nevrastenia che ancora lo contrassegna, sebbene ben sopita e sedata quando è in compagnia degli altri.
Il Diverso in quegli anni non rideva e non piangeva, non mangiava e non gridava, non si agitava e non si calmava, non faceva null’altro che domandare a se stesso “chi sono? che cosa faccio qui? dove devo andare?”; vivendo in uno stato di triste apatia e rassegnazione, alimentava il suo bisogno di risposte a quelle sue domande con l’unico carburante a sua disposizione in quel momento: l’odio. Odio verso chi era felice -e lui no-, verso chi viveva quegli anni in modo pieno e gioioso – e lui no-, verso chi aveva soddisfazioni e si trovava a suo agio nel mondo che lo circondava -e lui, lui no-.
Il Diverso però fece la prima cosa giusta in quel suo periodo difficile: iniziò a circondarsi di persone diverse come lui.
sto scrivendo davvero male in questo momento, e mentre scrivo mi chiedo se in questi anni abbia perso, tra le tante cose, pure la mia timida capacità di scrivere in modo decente. La risposta probabilmente si materializza con un “si” che mi appare davanti agli occhi, ma dopotutto credo che alla forma del discorso, almeno questa volta, sia preferibile l’espressione della sua sostanza, la sostanza che ho bisogno di concettualizzare in queste righe nebulose che da anni permangono nella rete senza che nessuno vi faccia caso. Perdonatemi, anonimi lettori, se vedete che il discorso non è lineare, ma cercate di comprendermi: io non scrivo per voi, scrivo per me stesso. Mi dispiace non essere elegante, ma per questa volta… va bene così
Diverse come lui nel senso che pure loro, come lui, erano state portate ai margini della società: ai margini perchè indegne di partecipare alla danza della massa, perchè tristi, perchè ciambelle uscite senza il buco o biscotti storti e sbavati. Difetti di natura, anzi di società, che erano stati cestinati sin da subito, ma che non hanno per questo perso la capacità, dopo tanto tempo, di riconoscersi e di star assieme. E’ proprio così che il Diverso riuscì a non essere più solo, circondandosi di diversi come lui e vivendo assieme a loro mille esperienze, le quali -inutile dirvelo- erano anch’esse diverse da quelle della massa. Anni di stupidaggini e follie al limite della decenza e del legale, stando sempre al massimo, sperimentando l’ebrezza di sporgersi oltre quei confini che erano stati loro insegnati sin da bambini: osservare il precipizio oltre lo strapiombo, con quel sadico desiderio di buttarsi per vedere se sarebbero caduti nel vuoto o… o avrebbero visto nascere sulle loro spalle delle ali che li avrebbero portati in alto, lontani da tutti e finalmente liberi di essere completamente se stessi. La compagnia degli estremi e degli estremismi, del troppo e del troppo poco, del folle e del violento, della fune tirata finchè non si spezza per il gusto di vederla spezzarsi , delle catene che li legavano alla “normalità” fatte solo per essere sciolte. Evasione la loro parola d’ordine, libertà il loro cuore, riscatto il loro orizzonte. Per una volta, anche se per poco, poterono usare la parola “noi” anzichè l'”io”: non erano più soli, non eranop più relegati all’esclusione dal mondo, ma potevano viversi il loro, sorridendo delle loro gioie, abbracciando forte la loro compagnia, così tanto sudata e così tanto, tanto importante per tutti loro.
Era così che il Diverso si era sentito meno solo, anche se aveva dovuto pagare cara questa sua flebile illusione di compagnia: presto arrivò l’ora dei tradimenti, delle bugie e degli inganni tramati per il gusto di conquistare, l’un l’altro, quegli scranni tanto agognati da tutti e mai avuti da nessuno. Così pezzo dopo pezzo si frantumò tutto, ed il Diverso tornò ad essere immerso nella sua solitudine profonda, dove la luce del sole raramente penetra ed i compagni di viaggio sono solo i mostri degli abissi: quei pesci misteriosi che abitano le tenebre dei mari, dove il Diverso si era infine immerso per non farsi più vedere dal mondo, per sfuggire dagli sguardi indiscreti, per isolarsi da tutto ciò che l’aveva deluso, tradito, ferito. Come un animale sconfitto, passò gli anni a leccarsi le ferite, cercando man mano di risalire verso la superficie del mare per poter repirare aria nuova, per rivedere le bellezze del mondo lassù, per tentare di nuovo di rientrare in quel grande tiepido brodo di persone, sorrisi e felicità che l’aveva sempre rifiutato.
Non fu una risalita facile, e metro dopo metro, nuotando verso la superficie, ritrovò alcuni compagni di viaggio abbandonati in passato: trovò un piccolo pesce solo in cerca di compagnia, un suo amico un po’ più intraprendente, e poi man mano l’anguilla, i due cavallucci marini, il tamburo… incontrò pesci nuovi, come la razza, la coda di rondine ed una ranocchia, conobbe il pesce palla assieme a tutti i suoi amici, ed insieme risalì ancora il mare avvicinandosi sempre più alla superficie: mancava poco ormai, per rivedere finalmente la luce del sole, per riabbracciare di nuovo il cielo, le stelle, le piante e gli alberi e gli animali che abitavano la terraferma.
Risalendo incontrò anche diversi uccelli che già vivevano in superficie, e che di tanto in tanto scendevano nel mare per andarlo a trovare: erano uccelli tutti diversi, di mille colori e di strani atteggiamenti, che più risaliva e più gli indicavano la strada verso la superficie, dandogli coraggio e forza. Certo, quegli uccelli erano diversi da lui e diversi dai suoi amici pesci, ma nonostante questo si erano sempre mostrati disponibili e sempre l’avevano stimato per la forza di volontà con la quale agiva, nuotava, risaliva e si comportava con tutti. Seppur di specie completamente diversa, l’apprezzavano per ciò che faceva. Il Diverso, man mano galvanizzato da tutto ciò, risaliva e risale il mare sino alla luce che da molto tempo, forse da sempre, non vede.
Il Diverso è arrivato qua. E’ arrivato ad essere circondato da tanti pesci che gli fanno compagnia, sia vecchi che nuovi, e da diversi uccelli che ormai lo vedono come un amico e che, quando si tuffano in mare, non mancano mai di salutalo, di chiedergli come va e di dargli una mano se ne ha bisogno, perchè lo stimano.
Io ora però non so che fare. Io, io che sono il Diverso, non so dove andare. I pesci che mi circondano, quei vecchi e nuovi amici che stanno attorno a me, non sono come me! Sono diversi, e con le loro mille sfumature mi fanno sentire a volte vicino e a volte immensamente lontano da loro. Gli uccelli che mi conoscono, quei compagni di viaggio incontrati in università, non sono della sua stessa specie: certo hanno stima di lui, ma sono dei volatili, sono tutt’altra cosa. E poi io, io mica sono un pesce. Io non nuoto e non sguazzo amorevolmente nell’acqua: lo faccio per bisogno, ma il mio desiderio è uscirne e conquistare la terraferma. I miei amici pesci, invece, se ne stanno bene qua.
Sono ancora solo, e me ne sto accorgendo. Sono ancora solo perchè, per quanto vada d’accordo con i miei nuovi amici, ho ancora quella barriera che mi tiene lontano da loro: io voglio uscire dall’acqua, loro no, e per quanto provi a parlarne con loro, a confidarmi con loro, vedo che non c’è nessuno che abbia il coraggio di far spuntare la testa fuori dall’acqua. Io voglio un mondo diverso, voglio un modo di vivere più giusto, voglio uscire da tutti i canoni per poterne riscrivere di nuovi, voglio realizzare i miei sogni di giustizia e libertà, non voglio più far male a nessuno: gli altri? No.
Ecco perchè sono solo.
Ecco perchè sono ancora solo.
Io voglio gestire le amicizie come ritengo sia giusto gestirle: superando gli schemi che mi sono stati insegnati, riscrivendo un modo di vivere le relazioni interpersonali che mi consenta di volere davvero bene ad una persona, di potermi davvero fidare di lei quasi fosse un fratello o una sorella indipendentemente dal suo sesso, dal colore della pelle e dal suo credo -qualunque credo-.
Io desidero essere sempre sincero con gli altri, dicendo tutto quello che penso incluse le cose scomode, quelle “che è meglio se eviti” perchè, che cazzo, la sincerità per me è un valore più importante del dolore che può fare essere schiaffeggiati in faccia dalla realtà. Io vorrei poter essere me stesso sia nel dire le cose più belle che in petto, che allo stesso tempo nel dire le più brutte, con quella leggerezza e quella sincerità dell'”essere se stessi” che mi manca tanto, troppo. Sconfiggere l’ipocrisia e le formalità regalando al prossimo tutto me stesso, sia io brutto o bello, delicato o grezzo, brutale o sensibile.
Io vorrei poter far capire a chi mi circonda del perchè credo nelle mie idee, del perchè le pratico, e vorrei poter condividere con tutte e tutti quel magico e magnifico sentimento di unità e fratellanza che ci vede tutti sulla stessa barca, tutti uniti nel navigare lungo le tempeste della vita assieme, unendo le forze e gli sforzi consci che un giorno la tempesta finirà e saremo finalmente approdati nell’isola che non c’è, l’isola dei nostri sogni dove le ingiustizie sono scomparse e la vita è fatta da noi, dipende da noi, è fatta per noi. Vorrei poter condividere con tutte e tutti i pesci miei amici quell’irresistibile desiderio che mi stringe il cuore, quell’adrenalina che mi dà la forza di andare avanti, quella brezza che soffia fra i miei capelli e, mentre mi viene la pelle d’oca, sussurra sibilando fra gli alberi e le foglie la parola “libertà” che mi spinge in avanti, oltre questo mondo verso qualcosa di altro, di diverso, di migliore e di più giusto per tutte e tutti. Vorrei uscire dal mare e scorgere il mondo, un mondo da disegnare assieme agli altri, diverso da quello già costruito da tutti quelli che ci vedono solo come pesci da pescare: liberi di essere noi stessi e liberi di essere il meglio, il giusto, l’equo, il felice.
Vorrei, vorrei…
Vorrei tutto questo e mi muore il cuore mentre sto per scrivere la realtà. La realtà è che sono solo a desiderare tutto ciò, e che ogni volta che parlo con i miei amici pesci, ogni volta che mi illudo di poter scorgere qualche barlume di desiderio di riscatto, presto l’entusiasmo si spegne innanzi ai freni a mano tirati, al “no, io non sono come te” che mi sento dire in mille modi da loro. Sono stufo di ricevere delusioni da chi mi circonda, stufo di non poter condividere con nessuno il mio credo, stufo di essere solo.
Per me l’ amicizia vale tantissimo, perchè è quel sentimento di fratellanza che lega indissolubilmente me agli altri, come un filo d’acciaio che ti stringe a chi vuoi bene che ti impedisce di abbandonarlo sia nei momenti di gioia che in quelli di difficoltà, perchè credo che il mondo debba essere basato sulla fratellanza e non sulla competizione, sulla collaborazione e non sull’odio reciproco, sul bene fraterno e non sul male dell’invidia… per gli altri e le altre è una parola vuota che dura al massimo mezza estate!
Per me l’amore è il sentimento più forte che unisce le persone le une alle altre, che non ti fa sentire solo, che ti rende parte di qualcosa di più grande del tuo ombelico e che davvero vale tantissimo; per me è il rendersi conto razionalmente, senza badare alle tempeste delle emozioni e dei sentimenti ormonali, che sei davanti ad una persona che ti fa stare bene sempre, nella buona e nella cattiva sorte, se sei innamorato ma anche se non lo sei, e che con te può davvero costruire qualcosa di grande e forte e stabile e bello…
per gli altri e le altre è uscire con qualcuno, accontentarsi di una cotta e mettersi assieme “finchè dura”!
Per me la speranza è quella macchina a motore che, con carburante infinito, mi trascina anche se non voglio verso i miei traguardi, dandomi coraggio e forza di credere in ciò che credo sia giusto, eliminando la vergogna di essere preso in giro per quel che credo, di essere emarginato per quel che sono, di essere escluso per ciò che dico. La speranza è quel fucile armato di tulipani che punta verso un futuro diverso e possibile, che osa dire ad alta voce “questi non sono solo sogni e nemmeno follia: questo è il futuro che voglio e che cercherò di creare per tutte e tutti voi, perchè vi voglio bene e voglio fare qualcosa per voi. Perchè la mia vita, se non fosse spesa per voi, non avrebbe senso di esistere”. La speranza, cocciuta e inarrestabile per me… per voi è vuoto totale! E’ stupore e silenzio, è imbarazzo, è il ronzare fra le vostre menti “lui non è normale” !
Che ci sto a fare allora qui? Da solo, diverso da voi, ora che dopo quattro anni da quell’esperienza che mi accese il cuore e lo spirito mi ritrovo accoltellato dalle vostre delusioni? Cari pesci mi avete deluso: chi più, chi meno… chi troppo. Siete distanti da me, tutte e tutti, e pure quelli che credevo essere, per una volta almeno, vicini a me (tu, N, sì, proprio tu) si sono rivelati abitanti dei mari e degli abissi, irrinunciabili nuotatori del mare che seppur affascinati dalla mia voglia di libertà, non mi seguiranno mai lungo la mia strada. Così, alla terza birra della serata, davanti a questo PC carico di testo illeggibile e mai letto da nessuno, io mi chiedo che cazzo ci sto a fare qui.
Che cazzo ci sto a fare se devo andare in contro a disillusioni e delusioni continue? Che cazzo ci sto a fare se sono sempre e per sempre solo? Che cazzo sto facendo? Non è forse meglio arrendersi, abbandonare il desiderio di uscire dai mari e conquistare la terra ferma, per accontentarsi di starsene qui, a nuotare su e giù con i miei amici, nel buio degli abissi, senza godere dei colori del sole del mare della terra delle piante del mondo intero? Questo dovrei fare, forse. Dovrei fare come i miei amici: non dar valore alle amicizie, buttarmi in amori vuoti ed inutili per il solo gusto di qualche gioia effimera, abbandonare ogni speranza rassegnandomi all’esistente presente, immutabile sempre e per sempre.
Se facessi così sarei come voi. Sarei assieme a voi. Sarei… sarei un diverso, un emarginato come voi: di quelli che si sono arresi, che si autocommiserano ascoltando canzoni malinconiche e buttandosi in amori improbabili quanto inutili, affogandosi di banalità e strangolandosi di finti rapporti ed amicizie usa-e-getta. Raga mi spiace ma io così vi vedo, e porca miseria mi fa troppo male vedervi così, perchè io sono fermamente convinto che quella sia la strada sbagliata, la strada scorretta, la strada senza uscite se non quella unica della depressione (e degli antidepressivi). Raga io non voglio schiantarmi su un muro e la strada che state percorrendo vi porterà a quello: vi porterà a qualche servo del sistema che vi convincerà che siete sbagliati, siete diversi, siete una ciambella uscita senza il buco a cui il buco va rifatto con la forza: perchè se non siete come tutti gli altri siete voi gli sbandati sbagliati, non gli altri. Siete un pezzo difettato, una lampadina rotta, una penna che non scrive bene, una ragazza brutta ed un ragazzo gracile, siete un sasso nella scarpa della società, un riccio che attraversa la strada e che viene schiacciato sotto le ruote di un’auto rombante, un piccione infetto di chissàquale malattia che muore da solo, una pecora nera, un pesce piccolo, un cane che non sta seduto, siete una cabina telefonica nel duemiladiciotto, una bicicletta sgonfia, un aereo di carta che vuole volare verso l’infinito anche se non ha motori che lo spingano avanti. Raga voi siete questo, e io vi amo per questo: ma voi… voi volete rimanere questo, e tutto ciò mi ammazza il cuore.
Io voglio ancora nuotare verso la superficie dell’acqua, voglio uscire dal mare dove sono costretto a nuotare, e non sapete quanto fa male vedere che nessuno, nessuno di voi vuole uscire assieme a me per costruire qualcosa di nuovo, per osare immaginare il diverso, per gridare con coraggio al mondo: “non ci sto!!!”.
Mi avete deluso.
Io non so cosa fare. Non vi voglio perdere perchè vi amo, ma non c’è nulla che mi leghi a voi salvo il fortissimo sentimento di fratellanza che mi dice “siete come me, pesci immersi in un mare mentre là fuori il mondo ci aspetta, e ci usa solo quando ha bisogno di mangiare”. Quanto vorrei vedervi ribelli come me, almeno un po’, almeno una volta… una sola.
Disgraziatamente solo
Terribilmente affranto
dalla chiara percezione
d’esser un’unità nell’oceano
Cane randagio
immerso in una realtà ostile
sogno l’impossibile
per sentirmi ancora vivo
Vi odio perchè vi conformate alle norme di questa società
Vi amo perchè vi sento vittime come me
Ma sono sempre
solo.
Fa male
troppo male .
23:54