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Trentanovesimo post

15.12.2020, ore 21.11

 

Rieccoci qua, a distanza di anni rieccolo che torna, il grande animale oscuro armato di chele per stritolare i suoi nemici, in difesa, costante, pronto a difendere la sua pellaccia e quella dei pochi cari che ha, per i quali alla fin fine darebbe tutto, perchè la sua esistenza che senso ha? Non ce l’ha.
Benvenuti lettori, o bentornati in questo circo ridicolo, in questo mondo magico di racconti e d’anime che si riversano su un foglio bianco, che manco esiste, un sottoprodotto virtuale della coscienza di quello là, quello solo e strano, che scrive con in testa la mente e il ritmo di Cuba Cabal.
Torniamo normali, e cerchiamo di dare un minimo di grazia e forma alle parole che presto inonderanno, come la piena di un fiume, questo post. Annettiamolo, caro mio, ammettiamolo davanti a questa pagina: siamo in un buco nero. Un buco nero che ormai risucchia tutte le nostre prospettive, i nostri sogni, le nostre ambizioni. Ambizioni e sogni che, caspita, ora abbiamo: è finito il tempo delle incertezze e dei dubbi, del “che sarà del mio futuro, che sarà di me”. Quello lo sappiamo, adesso. Sappiamo chi siamo, e sappiamo chi non siamo; sappiamo cosa vogliamo essere, e cosa non vogliamo essere; sappiamo chi vogliamo attorno a noi, e chi invece non desideriamo condivida il nostro percorso e il nostro sentiero. Una lucina verde illumina il telefono, qualcuno sul nostro sentiero ci chiama, o risponde al nostro richiamo. Sappiamo anche questo, adesso: sappiamo che non siamo soli.
E allora cosa c’è che non va ancora? Non va che siamo in un buco nero, risucchiati dal vortice di questa situazione planetaria che ci sta rubando ogni prospettiva, ogni certezza, e che man mano ci erode quello straterello chiamato “sopportazione emotiva” che avevamo dentro. Dopo quasi un anno dall’inizio della Pandemia, e dopo un anno esatto -o quasi- dall’ultima volta in cui ho avuto una vera vita da studente, sono a pezzi. Siamo a pezzi. La psiche non regge, non sopporta più quell’ambiente che prima era certo mal tollerato, ma comunque tollerato. C’erano, nella mia vita, tutti quei piccoli espedienti per poter tener botta, reggere i colpi, stringere le mani sui parapetti della nave che veniva sballottata dalla corrente, e non cadere. Adesso, invece… adesso si cade, cazzo. Si cade e ci si fa male, stare in equilibrio è diventato difficile ed impegnativo, e le forze se ne vanno. E poi, stringersi al parapetti per andare dove? per dove direzionare questa vita, per dove puntare le nostre aspirazioni? Certo non per tornare alla vecchia normalità, che comunque era causa di malessere personale. Ma quale sarà la nuova normalità?
Questo, sì, potrebbe essere un esercizio di ottimistica fantasia. Potrebbe essere una possibile via d’uscita, anzi, diciamocelo: in ogni caso sarà l’unica via d’uscita, sta a noi essere in grado di portare quel piccolo contributo perchè sia un’uscita migliore dell’entrata. Un’uscita in un mondo che ragioni per altre logiche, per altri canoni, dove il denaro e l’arricchimento non siano la cifra delle nostre vite, dove non esista mai più, cristo, mai più il dominio di un uomo su un altro, sia esso frutto di violenza fisica, economica o psicologica. Che sia un mondo libero, non “più libero”, e che sia giusto, non “più giusto”, che vi sia la morale, il bene comune, la coesistenza e la cooperazione tra di noi tutti. Che sia un mondo dove la solitudine non viene tollerata, ma curata, dove il malessere sia considerato un problema da risolvere, e non “un numerino da mettere in conto, e curare con qualche pillola”.
Sono ancora un illuso nel crederci? Mah, forse sì, ma meno illuso di un anno fa: oggi sì che uno spiraglio si vede, che la possibilità di cambiare c’è. Ne ho le forze, ne sono sicuro? Insomma. Eccola qui, la mia debolezza. Debolezza dettata dalla solitudine personale, l’incapacità di riuscire a ritessere relazioni e legami con compagne e compagni che mi permettano di portare avanti, assieme a loro, i disegni comuni di una nuova esistenza: c’è ancora confusione, è forse ancora troppo presto per poter chiarificare certi sogni che mi faccio nella mente. Certo. E’ presto. E quindi si attende, e nell’attesa si perfeziona il disegno, le fasi, le possibili vie… sarà un’attesa infinita? Dio, questa domanda inizia a pressarmi prepotentemente nella mente. E se veramente infinita fosse? Il resto della mia vita dove se ne andrà? Riuscirò a costruire un rapporto stabile con una lei, che sia vero, autentico, profondo e duraturo? Magari con L? E’ assolutamente prematuro dirlo, se il giudizio si limita a questo caso particolare. Ma se l’interrogativo viene esteso al generale, alla mia capacità, ora che pochi mesi mi distanziano dal quarto di secolo, la domanda diventa tutt’altro che banale e prematura. Ho difficoltà a costruire rapporti perchè ho difficoltà a dare e ricevere  fiducia, a stare al tempo, e soprattutto a portare e ricevere il giusto rispetto reciproco. Non so, sono molte in realtà le cose che mi perplimono a riguardo, tutte accomunate da una sottile ma costante paura di fondo, che è sempre la stessa: la paura della solitudine. Perchè certo, si può anche vivere da soli, o con dei pochi grandi amici, ma una relazione è un’altra cosa, la relazione ti completa e ti fa sentire bene in tutto. Eh, caspita se è così! Pesanti sospiri mi accompagnano mentre svuoto i miei pensieri (ed il mio malessere? Mah, forse sì) in queste righe. Mi dispiacerebbe rimanere solo pure questa volta, anche se so, dentro di me, che i segni premonitori ci sono eccome. Che è possibile che accada, e che sarebbe un gran peccato, perchè L è più di molte altre una persona sincrona ai miei ritmi e alla mia mente. Si vedrà, e se dovrà andare male, si affronterà con la solita calma e tenace resistenza che ormai la mia pellaccia ha imparato a sopportare. Per forza. Fa ridere il fatto che manco mi venga da credere che le cose possano andare diversamente, considero unicamente l’opzione negativa, e poi se va bene… sarà una sorpresa piacevole. Non inaspettata, per carità, ma piacevole. Insomma, c’è dell’ineluttabilità nelle vicessitudini che accompagnano i nostri spiriti, nelle stradine che le nostre emozioni, quatte quatte, decidono di percorrere. Un po’ di ottimismo mi farebbe bene? Mah, ormai l’ho perso per strada. Rimane solo la capacità di vivere ad occhi aperti, stare sveglio, e guardare il mondo per quel che è. Sono triste o sono solo sfinito da questa vita? la seconda, caro mio, la seconda.
Ma ne devo uscire, se non voglio morirci dentro. Sono in una pozza d’acqua stagnante, ma con la lucidità e la conoscenza bastanti per rendermene conto e capire che ci devo uscire: non trovo una via d’uscita? Me la invento. La devo creare, la devo costruire da zero su misura per le mie esigenze ed i miei sogni, e la devo percorrere. Può sembrare una soluzione triste ed artificiale, ma è così che si inganna il prossimo (e ci si auto-inganna) per portare avanti questa vita: generare percorsi che tendano verso i nostri sogni, sviluppare strade, strategie, tattiche per arrivare all’obiettivo. Funzioneranno? Probabilmente no, ma intanto ci si muove verso. Muoversi verso, camminare verso, che bella immagine. E nel farlo, ridurre sempre più la distanza tra noi e i nostri sogni, per sentirci più vicini, per sentirci meglio. L’importante è non farlo con le persone, non farlo soprattutto con lei, la signorina L, ma suvvia, oramai sono errori che non commetto più, me lo sento. Sono cresciuto, sono maturato, il mio fusto si è irrobustito ed irrigidito. Sto diventando una pianta seria, che non teme più il freddo, i parassiti e i decespugliatori. Il problema è che sono cresciuta subendo storture e pieghe innaturali che mi porterò quasi per sempre dietro. Chissà come andrà a finire questa storia!
Malinconico ottimismo? Un po’ sì. Un po’ malinconico, e un po’ ottimismo, s’intende.
Il punto è sempre quello, uscire dalla melma, abbandonare il buco nero e, soprattutto, fare di tutto perchè nessuno ci entri mai. Mai più per causa mia qualcuno dovrà soffrire: non accade da due anni e più, e non deve accadere mai più. Forse M sarà rimasta ferita dai miei silenzi? Io però non me ne sono approfittato: le ho sempre detto e ripetuto, contro ogni mio interesse (o no?) che non ci sarebbe mai stato dell’altro. Lei s’aspettava altro? Mah. Credo che si aspettasse attenzioni e sudditanza che, per definizione, non possono proprio provenire da me. Spero che le sue malinconie non debbano un giorno accumularsi sulla mia coscienza,ma se devo essere sincero sono anche abbastanza sereno su questo versante. E le mie di malinconie? Devo spazzarle via e ricoprire quello straterello di delusioni con una spolverata di speranza. Non è facile, ma non ci sono alternative. Stringiamo i denti, fieri di essere finalmente e costantemente persone buone, giuste e corrette con il prossimo. La moralità paga, e lo sto vedendo in questi anni, lo vedo persino in questo ultimo difficile periodo.
E’ la strada giusta. E’ la mia strada. E’ l’unica degna d’essere percorsa.

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