02.11.2014 10:48
IN COSA TROVIAMO LA VOGLIA DI VIVERE (rispettivamente, ognuno di noi)
Dopo una settimana di discussioni ho riflettuto più a fondo sulla mia risposta, e alla fine sono arrivato alla conclusione che, analizzando la mia vita fino ad ora da un punto di vista globale, ho trovato la voglia di vivere in un unico sentimento: la rabbia.
Sin da bambino, soprattutto per l’influenza materna nella mia educazione, sono cresciuto come minoranza, tendenzialmente escluso: parlo sia dell’ambito sociale (un bambino parolaio che faceva ragionamenti diversi dai suoi coetanei, unico con dei genitori laureati in un paese bigotto ed ignorante) che dell’ambito “politico-filosofico” (una famiglia tendenzialmente laica alle spalle, in un mare di miope fervenza religiosa catapultata verso un ottuso berlusconismo passionale). Questa mia esclusione ideologica, molto forte nell’infanzia mentre più ipocritamente mascherata nelle scuole medie (e in minor parte nelle superiori) mi ha portato a sviluppare forte rabbia per quelle che mi era stato insegnato vedere, e che io vedevo come ingiustizie: rabbia per un’esclusione non giustificata e non comprensibile in tenera età, rabbia nel vedere, man mano che crescevo, come le cose che mi venivano insegnate non corrispondessero alla realtà, come i miei fortissimi ideali di Giustizia e Libertà fossero disattesi dalla società. Di qui il sentimento di rabbia, inizialmente fine a se stesso e solo dopo, molto dopo, veicolato verso l’associazionismo in un tentativo di cambiamento dellpo status sociale; esso e solo esso mi ha dato e mi dà la voglia di vivere, perchè in esso trovo energia e non resa, potenziale e non rassegnazione. Probabilmente sono fortunato, perchè non saprei giustificare il motivo per il quale provo rabbia e non rassegnazione, insomma il perchè ringhio e stringo i pugni invece che accasciarmi a terra e guardare la vita che scorre davanti a me: ho avuto un periodo nell’adolescenza in cui tendevo a quest’ultimo sentimento, ma è stato circoscritto ad alcuni anni, per poi svanire e ritornare puramente rabbia. Oltretutto chi mi conosce, come i miei genitori, mi ha spesso definito come “una persona che aggredisce il mondo”. Altro non saprei dire, questo -in un tentativo di autoanalisi forse non manco di superbia- è quel che mi rendo conto di essere, e che auspico di rimanere.
Dato che la discussione questa settimana è andata sfociando in un generico tema “in cosa l’Uomo trova la voglia di vivere”, non ho potuto non riflettervi pure io, e non ho potuto non tentare di formulare qualche ipotesi (anche se temo sarà molto meno fondata e filosoficamente argomentata di quelle di altri di voi). Dunque, partendo dalla prima ipotesi del “troviamo la voglia di vivere nell’istinto di autoconservazione”: non ha senso, non è un sinonimo? Significa affermare che “il trovare la voglia di vivere”, dunque la negazione del desiderio di morire, sta nell’autoconservazione, ovvero nel desiderio di non morire. Se cerchiamo “ciò che ci spinge a vivere” come facciamo a rispondere con “ciò che ci spinge a vivere è il principio stesso della spinta verso la vita”? Non è una risposta, a parer mio. Secondo me invece, dovremmo considerarci parte di un universo in espansione (quale siamo). Se consideriamo l’universo che si espande nello spazio e nel tempo, un po’ come fosse un fungo di un’esplosione atomica, mano a mano che si ingrandisce si sviluppano ammassi e galassie, stelle e pianeti, e all’interno di alcuni pianeti, come la terra, si sviluppa la vita, e la vita scesce e si evolve nello spazio (da un’unica cellula alla natura odierna) e nel tempo, esattamente come l’universo. Dunque la nostra esistenza, da questo punto di vista, sarebbe il risultato dell “evoluzione” dell’universo nel suo principio madre di espansione “spazio-temporal-evolutiva”. Noi però siamo esseri pensanti, diversi dagli animali (o comunque animali particolarmente svilupati) che hanno il pensiero e l’hanno messo in pratica per mutare il pianeta in cui si trovano, riuscendo a fare cose che altri animali, con altre abilità che l’uomo non ha, non sono riusciti a fare .Il pesiero ci porterebbe a chiederci il motivo della nostra esistenza (anche se ora mi viene il dubbio che tale pensiero non sia proprio anche degli animali ma essi non lo sappiano esprimere), ed il motivo io lo ricondurrei al principio madre, il principio che ci ha permesso di divenire umanità partendo da un’unica cellula: l’espansione-sviluppo, insomma il concetto (anche idealista) di un’esistenza in progressione, in continuo sviluppo, in divenire. Tutti ne siamo partecipi, senza distinzioni: contribuisce allo sviluppo un barbone come uno scenziato di fama internazionale, contribuisce allo sviluppo un distruttore come un creatore, chiunque contribuisce, poichè fa parte di un’unica catena interconnessa di persone che ne fanno la società e, a livello più alto, l’umanità. Dunque anche se il singolo pensa dentro se stesso di essere inutile, o se apparentemente non è nulla per la società, o se decide paradossalmente di togliersi la vita, in una “negazione estrema della propria essenza umana” (oppure, secondo me, nella massima espressione della propria libertà -ho scoperto l’altro giorno che anche Seneca la pensa come me-), è comunque artefice dello sviluppo. Anche un aborto lo è, anche un animale che attraversa la strada e viene investito: tutto ciò che accade contribuisce a fare conoscenza per l’uomo, e quindi sviluppo, ogni esperienza diviene sapere e quindi conoscenza, in un unica grande casa del sapere detta Umanità.
Che sarà il futuro? Al momento non sappiamo come finirà -o com continuerà- l’universo, non sappiamo cosa c’era prima e non sappiamo nemmeno cosa c’è “al di fuori” di esso. Il dubbio attanaglia ed angoscia l’uomo dalla sua origine, tanto che sin dalla preistoria è stato portato, spinto da un panico mortale, a creare delle risposte inventate per portare pace alla sua anima: ha inventato la religione, per esempio. Io personalmente credo nella scienza, poichè essa è l’unica che mi sa dare certezze concrete, tangibili, materiali, e se ancora non sa rispondere ad alcune domande, in futuro lo farà, perchè essa è prodotto e parte della conoscenza, e la conoscenza è in continuo sviluppo nello spazio e nel tempo. Se la Terra finirà, forse l’uomo emigrerà in altri pianeti ed in altre galassie (non è un caso che la fantascienza abbia avuto ed abbia un tale successo, è espressione di un’essenza basilare dell’uomo: lo spostamento, l’esplorazione, la scoperta —> il divenire), io nel mio piccolo (molto piccolo) contribuisco che ciò avvenga. Nella mia vita sicuramente farò qualcosa, anche la minima cosa, per portare un cambiamento al mondo, ed in questo senso io lo aiuto a crescere: posso essere un ricercatore, come posso essere un barbone che caga per terra, apporterò mutamenti diretti o indiretti alla conoscenza (il barbone caga in mezzo alla strada–> la società comprende che ciò è sbagliato ed instituisce case di accoglienza, per esempio). Altro non saprei dire, io la vedrei così, mi baso sulla scienza per argomentare ma molto di quel che è scritto è privo di basi (forse qualche allusione filosofica può esserci, ma non so quale). Prego, commentate!