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Trentatreesimo post

Mercoledì 20 Dicembre 2017, ore 00:55

E’ da qualche giorno che desidero scrivere, ma solo ora ne ho trovato il tempo, la forza e la voglia. Scrivo perchè è passato un mese da quando, con fatica e rassegnazione, avevo messo nero su bianco quello che sentivo, e quello che sapevo dentro di me sarebbe successo. Ho sbagliato, forse, a partire già convinto di quale sarebbe stato l’esito? Ho sbagliato, forse, ad agire in questo modo e a non tentare di giocare d’astuzia, per creare qualcosa che non c’è, per attizzare un fuoco che non è mai stato acceso? Forse sì. Ciò non toglie quel che è stato. E’ stato che, dentro di me, sapevo a cosa andavo in contro, e proprio sapendo qual’era la tortura che mi aspettava, ho deciso di optare per il male minore: aprirmi, subito, e parlare dicendo alla dolce diretta interessata cosa succedeva dentro di me, e quali erano i mari che il mio animo stava iniziando a solcare in quel momento. L’ho detto, con fatica e con dolore, quando mi sono reso conto che la mia sofferenza iniziava a farsi sentire davvero. La risposta è stata quella prevista, ovvero un ennesimo rifiuto. Più che un rifiuto, mi piace vederla come una constatazione: la constatazione che quella fiamma che arde dentro di me, non ardeva in lei. Non è difficile prevederlo: una fiamma si vede, produce luce che illumina i volti e soprattutto scalda, scalda gli animi ed i cuori: per tutti noi è facile percepirne o meno la presenza, mentre la cosa difficile è il riconoscimento, in tutta onestà, di questa constatazione. Non è dunque difficile riconoscere la presenza della fiamma, bensì accettarne la presenza o, nel caso in esame, la totale e brutale assenza. L’aggettivo brutale va aggiunto, sì, perchè di brutalità si tratta: quando una persona non prova nulla per te, non si rende nemmeno conto che i suoi atteggiamenti e le sue azioni hanno su di te qualcosa di enormemente potente e potenzialmente distruttivo. Non se ne rende conto, ed in buona fede se ne frega, continuando a comportarsi come desidera e perseverando lungo la sua strada, giusta o sbagliata che sia. E’ così che io, trovandomi ora da questo lato dello schieramento, mi rendo conto del male che ho fatto a chi mi stava un tempo vicino. Mi rendo conto, sì, di quanto male ho fatto a chi mi amava, quando me ne fregavo di lei e del suo animo in pena, e pensavo ad altre. Mi rendo conto, sì, del dolore che ho brutalmente inflitto quando sparivo senza preavviso per tempi lunghissimi, abbandonando al loro destino persone che in me riponevano stima e speranze. Mi rendo conto, sì, di quanto fa male amare una persona, ma il vedere che questa persona ama un altro, e che addirittura consuma in modo completo questo amore. Accade, ed è naturale che ciò avvenga, proprio perche noi per queste persone non contiamo nulla, perchè in loro noi non sprigioniamo nessuna fiamma: siamo solo delle figure di un presepe, dei personaggi secondari nel film della loro vita, che compaiono sporadicamente e spariscono in modo irrilevante ed evanescente con il tempo. Ma io, io che ora vi rifletto, mi chiedo quanto male abbia fatto e quanti dolori abbia procreato per ridurre alcune persone in stato di malessere molto peggiore a quello, presente seppur blando, del mio caso. Insorgono i sensi di colpa, i dubbi pesanti che non ti fanno dormire sonni sereni, ed i pensieri vagano impietosamente indietro nel tempo, navigando verso ciò che avevamo nascosto nelle nostre memorie, che avevamo cercato di eliminare ma che, inevitabilmente, era rimasto lì. Ma il male che soffro ora, quante e quanti l’ho imposto? Paura, paura a pensarci: ne stimo molto.
Oramai però, in tutta razionalità, è opportuno constatare la realtà dei fatti e scegliere che direzione prendere: non si può rimanere sulla porta di un uscio malfrequentato ed incerto, è necessario agire e proseguire il proprio cammino nonostante tutto; io, così, mi sono immaginato due piatti di bilancia sui quali fare un sano confronto. Sul primo piatto ho messo il bene che mi fa stare con la dolce diretta interessata, quanto sono felice quando le parlo, la vedo, la sento vicina a me: tutti elementi di piacere personale, che mi trasmettono grande serenità e sicurezza, facendomi sentire in un piccolo caldo iglù che mi protegge dal freddo del mondo che mi circonda, e con il quale mi posso liberamente aprire senza paura di essere tradito. O almeno, così credevo. Così credevo, sì, perchè poi sull’altro piatto della bilancia ho caricato tutto il resto: il male che mi fa quando quei brevi attimi di compagnia svaniscono, il costante malessere del sapere che quella fiamma non sarà mai accesa per illuminare il mio animo, le ferite aperte entro le quali il coltello dell’invidia e della competizione si rigirano e ampliano le piaghe già esistenti, per poi arrivare infine alla constatazione finale, quella che mi trapassa ogni volta, ovvero quella che la dolce diretta interessata una fiamma già la possiede, e già l’ha donata e la sta regolarmente donando con tutta se stessa ad un altro.
Un volta riempiti i piatti della bilancia, ho valutato accuratamente l’esito della pesata. Ho sperato che potesse raggiungere una sorta di equilibrio, almeno per non perdere tutta quella bellezza che in lei avevo trovato e che so, per certo, esserci ancora. Ho sperato che il pesantissimo secondo piatto potesse un po’ alleggerirsi nel tempo, ed ho atteso nel riserbo del mio dolore che tutto ciò accadesse: non sono stato fortunato, e nulla è avvenuto. Il cambiamento non c’è stato, ed il braccio dei dolori pesa sempre molto di più di quello delle soddisfazioni. Il braccio dei dolori continua a pesarmi ogni giorno che passa, ed io ogni giorno che passa aumento la mia paura, poichè non sarà nè il dolore cronico nè la repressione a permettermi di condurre una vita universitaria serena. La decisione è ormai chiara, l’unica cosa che manca è il coraggio della sua applicazione: l’abbandono.
L’abbandono della bilancia per soffifre di meno, per non rivedere più brutti ricordi, per andare avanti. Abbandono di una gemma rara e preziosa che però, con il suo segreto veleno, potrebbe portarmi in posti del mio spirito entro i quali non mi vorrei mai più riaddentrare: sono i mostri del dolore profondo, della perdita di peso, del malessere personale, dell’odio nei confronti degli alttri, della paura del dolore stesso. Mostri che non voglio rivedere, e che temo dovrò rivedere almeno di sbieco se le cose andranno per le lunghe. Inoltre, all’abbandono si aggiunge il malessere ed il dolore inflitti da me agli altri: cosa farà lei, lei che a così poco interesso in un senso, ma che così tanto mi desidera negli altri? Quanto sarà il male che anche io, con il mio atteggiamento, imporrò?
Ancora del dolore, ancora la difficoltà di dire addio ad una triste storia senza lieto fine, ancora del male che infliggo agli altri.
La stanchezza mi dice che il racconto finisce qui, l’anima mi dice che probabilmente sarà veritiero.

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