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Quinto post

 

20.05.2014   01:13

Nella “sala studio” della casa scrivo una pagina silenziosa del diario del Vuoto, mentre altri studiano pensierosi delle verifiche che li attendono fra poche ore. I passi rimbombano nel silenzio delle stanze illuminate da vecchi neon, la stanchezza traspare anche sui volti più giovani e carichi di energia che non vogliono arrendersi all’inesorabile girare delle lancette. In una stanza vedo lo spaccato dei giovani della nostra generazione. Alla mia sinistra quattro computer del promettente genio dell’informatica, appositamente lasciati in stand-by perché il lavoro non ha mai tregua, a nessuna ora di nessun giorno: un lampeggiare emblematico di noi uomini del futuro. Più in là consumati manuali di filosofia rappresentano quel che resta del liceale, che sfoglia ansiosamente le pagine piegate e piene di orecchie in cerca della soluzione all’ennesimo concetto inesplicabile di un sapere del passato che spaventa il presente ed angoscia il futuro. Segue il computer di un maniaco musicale, smanettone neo informatizzato che alterna la noia del passato alla futuristica velocità della tecnologia, con tutte le allettanti magie annesse e connesse: folle anarchia, libertà del ventunesimo secolo che si esprime come mai in passato e spaventa le generazioni precedenti, con una nuova lotta tra padri e figli combattuta questa volta sulle frequenze della rete. E infine l’ultima superstite, che con le ultime energie sfoglia le pagine della sua antologia, con la calma rassegnazione di chi è certo che all’una e mezza c’è poco da fare se non illuminarsi gli occhi con i forti colori fluorescenti che titolano i capitoli degli appunti.  Il rumore delle ventole dipinge lo sfondo del ticchettio della tastiera, e mentre un ragnetto fa capolino tra i battiscopa la stanchezza comincia ad abbracciare anche lo scrittore sonnambulo che non ha voglia di dormire, ma preferisce svagarsi per non pensare a cose troppo serie per farlo dormire tranquillo. Due giorni davvero tra i suoi simili, e sembra che si sia dimenticato dell’esistenza del resto del mondo: dove sono finiti gli amici, e la ragazza tanto amata è quasi dimenticata ormai! Come mai tutto questo? Come mai tali stravolgimenti di personalità in così poco tempo, così inesplicabili e meravigliosi? E’ forse qualcosa di nuovo, vero e terribilmente tragico: la realizzazione. Realizzazione di ciò che è e di ciò che invece è stato, forzatamente, fino ad ora, quel magro scrittore dagli occhi incavati che fissa malinconico la tastiera, ridacchiando fra se ogni tanto per qualche bellezza della vita che gli scorre davanti. Ciò che è, è questo appunto: la riflessione, l’essere un’entità pensante e meditante, non un leggero straccio colorato che svolazza sospinto dal vento, tra le foglie ed i fiori dell’estate che arriva. No, lui è l’opposto di tutto ciò, egli è la meditazione, la riflessione ossessiva che lo porta sempre e comunque al malessere interiore, alla dannazione dello spirito ogni volta che la sua mente, dopo vorticosi numeri degni del miglior equilibrista, lo riporta alla realizzazione della sua completa solitudine filosofica. Non è solitudine reale, sia chiaro: egli è circondato di persone che lo amano, che gli vogliono bene e che, a modo loro – ognuno in un modo a se – lo comprendono paragonando la loro situazione a taluni aspetti della sua. Ma la solitudine filosofica, quella del modo di vedere la vita, è ciò che lo attanaglia maggiormente, perché essa è unica, e terribilmente distante da quella altrui. E’ un blob gelatinoso che assume forme mostruose, e che seppur mutevole rimane costantemente ben distinto dall’omogenizzato sociale che lo circonda, pur considerando i suoi granuli irregolari. Che dire allora, che fare una volta appurato questo?

Scrittore mio, la soluzione ti è ben nota, già da tempo: la tua unicità è assioma ineluttabile, accettalo e valorizza chi da quell’omogenizzato si distingue e ti si avvicina, carpisci da loro tutto il bene che puoi e ricambiali con tutto te stesso: solo così la tua vita avrà un senso, solo così la tua vita conoscerà la felicità, solo così la tua vita non conoscerà, mai, fine.

Sono stanco e ho sonno, buona notte scrittore paranoico dei miei stivali ( 01:54)