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Primo post

03.05.2014

Un primo post

sarà il primo di una lunga serie o resterà piuttosto un tentativo isolato di comunicazione con lo sfaccettato, malleabile, fluido ed inconsistente mondo parallelo della rete? ma chi può saperlo, se non io stesso? No, nemmeno io posso in verità. Penso che questo resterà un caso isolato, un blog visualizzato da nessuno che nessuno mai leggerà, dove un unico ragazzo solitario scriverà da solo per illudersi di aver detto a qualcuno quel che ronza nella sua folle testa. Qualcuno. Nessuno. Tutti.
Qual’è la differenza a questo punto? Non ne ho idea. Che faccio ora? Scrivo un po’, qua e la, del nulla, attendendo che l’ora per prepararsi arrivi. Allora salirò le scale della mia taverna, lentamente raggiungerò l’ultimo piano e mi vestirò per andare ad un compleanno. Sceglierò sbadatamente dei vestiti che mi possano far sembrare simile alla massa, nell’illusione colletiva di questa falsa società, ed attenderò che il mio amico arrivi a prendermi in macchina. Arriverò alla festa, dove con tanti invitati faticherò a trovare la persona che amo, il cui amore temo non sia ormai più ricambiato. La cercherò per salutarla, e poi comincerà il lungo travaglio. Lei scherzerà e riderà con i suoi amici ignorandomi, ed io farò altrettanto, per far che tutto sembri normale. Lei soffrirà paurosamente del distacco che le darò, ed io del distacco che lei mi impone. Prenderò qualche bottiglia di birra e andrò a ridere, scherzare e non pensare con gli amici. Non pensare, questo è il succo del gioco: smettere di ragionare, impedire che la nostra mente umana faccia il suo lavoro. Essere animali, ignorare le emozioni, illudersi in un fantastico universo di luci e colori ricacciando la dura realtà che si presenterà inevitabile ed inesorabile dinnanzi ai nostri visi ipocritamente felici per distruggerci da dentro e sussurrarci all’orecchio “non puoi sfuggire”.
Il dolore di cui è pregna la nostra esistenza ci distruggerà finchè non troveremo la forza di accettarlo, come uomini di tutti i tempi hanno tenatato, a modo loro, di fare una volta capito. Ma quando mi trovo circondato da persone che, anche sapendo questa realtà, la ignorano, io che posso fare? Se io vedo la realtà come loro, ma paurosamente comprendo che loro la rigettano tuffandosi nel mondo della leggera ebbrezza che, come una nebulosa, circonda i loro spinti e falsi sorrisi, cosa posso?

Nulla

Nulla se non guardarli con fare rassegnato, voltarmi senza un sorriso, e camminarmene via, lontanto, solo. La debolezza dell’uomo è qualcosa di incredibilmente stupefacente se comparata alle sue potenzialità. Io vedo la persona che amo soffrire e dannarsi di infiniti mali, terrori, paure che la legano e trascinano via nel vortice della depressione, e cerco in tutti i modi di prenderle le mani per trascinarla via, ma lei le ricaccia piangendo. Ed io mi trovo solo, spettatore inerme davanti all’Apocalisse, a vedere la fine di una vita che scorre via, lasciandosi trascinare dalla corrente dei mali, senza tentare la ben che minima opposizione ad uno scorrere dei fatti che pare incomprensibilmente inevitabile, ma che è in realtà mutabile. Ed è terrore il momento in cui le leggo negli occhi la realizzazione che tutto ciò è evitabile, ma la mancanza di volontà di evitarlo.

Un fiume di donne ed uomini deboli scorre lento lungo la valle, rotolano dai fianchi come pesi morti, sflacellandosi sulle rocce ma senza morire nè perdere coscienza, finchè non si immergono nelle torbide acque. E lì non affogano, ma galleggiano e a testa alta, guardando il cielo, si lasciano trasportare verlo il lontano mare del destino e della Morte. Perchè sono così pochi quelli che stanno in piedi sugli argini a vedere, perchè sono ancora meno quelli che tentano con forza di riagguantarne il più possibile con rudimentali pertiche? Li catturano dallla loro fine come pesci storditi, li ripostano a riva, li asciugano, li scaldano e li nutrono, ma questi, una volta riacquistato il senno, si alzano, e con sguardo vuoto piangono in silenzio, per poi voltarsi e rigettarsi nelle acque da cui sono stati poco prima salvati. E leggo lo strazio nei visi dei salvatori, che sperano ogni volta di poterne salvare qualcuno, quell’unico che con un abbraccio li ripaghi e con un “grazie” respirato all’orecchio li faccia commuovere.
Mai tutto questo avviene.
Ed io mi trovo come loro, senza ben sapere se sono realmente degno di quel ruolo o se è frutto della mia superbia l’essermene appropriato, e cerco con gli occhi stanchi qualche corpo che scorra lungo il fiume della disperazione, agguantando chi mi sembra essere una vittima di quel gioco malvagio, e cercando in tutti i modi di salvarlo da ciò che io ritengo male, e che forse egoisticamente impongo come male a loro. Con nessuno sono ancora arrivato al fatidico momento che ho visto mille volte sulla pelle degli altri, ma ho la paura che forse possa arrivare a breve. La paura, quel fuoco che ti rode l’anima, che ti fa fremere, aumentare il battito cardiaco, respirare affannosamente. La paura. Un nemico. Un alleato. Un maestro di vita. Chi lo sa?

Non rileggo, ci saranno mille errori ma va bene così. Scuse telematiche per dei lettori fantastici