Categories
General

L’omonimo, la guida – PRIMO

Il cammello solo e vagante meditabondo fra le dune in verità non sta tracciando una via nuova, ma ripercorre, anche se per soli alcuni trati, le orme di un suo passato prossimo. Le orme di una persona da cui ha preso il nome, una persona a lui nascosta ma che ha saputo riscoprire indagando sul suo passato, trovandone paurose somiglianze ed affascinanti punti di incontro. E’ una grandissima ricchezza, ed io ritengo che sia un delitto non rendere eterne le sue parole. Per questo alcuni post voglio dedicarglieli, trascrivendo il suo grido di geniale rabbia.

Vorrei cominciare trascrivendo una poesia, che forse era sua, ma che è firmata “Fischer”. Forse era il suo nome d’arte, non ne ho idea. Poco conta, sono le parole che regnano sulle pagine ingiallite di storia e dolore.

FischerE’ meglio andare in due

Andare da solo è un brutto andare
Il piede che così spesso incespica, il cuore così inquieto.
E’ meglio andare in due.

E se cadi chi ti sostiene il passo?
E se sei stanco chi ti trascina con sè?
E’ meglio andare in due.

Tu silenzioso viandante attraverso il mondo ed il tempo
prendi Gesù Cristo a tua scorta.
E’ meglio andare in due.

Egli conosce la strada, conosce il viottolo
e poi ti aiuta con il consiglio e l’azione.
E’ meglio andare in due.

Perchè mi ha colpito? Perchè il suo messaggio è essenziale per me. Io trovo che sia impossibile vivere completamente da soli, una persona al tuo fianco è la cosa più importante, il dono più grande, la ricchezza più magnifica che un Uomo possa avere. Io che una volta ero tipo solitario, che sfuggicvo da tutti rifugiandomi nelle mie convinzioni (forse anche con superbia) ora mi rendo conto di quanto sia grande la compagnia. Perchè senza di essa, non resta che la morte: come ho letto in una citazione di Aldo Busi, “La libertà è la forma intermedia della solitudine, il suicidio la forma estrema dell’unica compagnia che ti è rimasta.” E’ meglio, sempre, essere in due.

Un altro testo che mi ha colpito molto, e che ho sentito particolarmente mio si intitola così:

PUBBLICI CONCORSI

Oh, specchio di verità, ispira la mia rabbia. Che cosa mi muove? Soltanto polemica, tendenziosa, fine a se stessa; non recriminazione di cittadino leso nella civica purezza, ma rancore di chi si ritiene escluso dal novero dei “santificati da qualche dio su in cielo”. Nella mia esposizione fieramente partigiana denuncio e sottoscrivo che nel reclutamento del personale si annida la sottile piovra clientelare.
Senza inutili preamboli affermo che il vecchio trucco si nasconde nelle apparenze di quel magico inafferrabile mistero noto sotto il nome di “pubblici concorsi”.

Si concorre in tutto: dall’aiuto all’assistente all’ambiente, dal cuoco della mensa del Dopolavoro agli assistenti delle pubbliche cucine, fino ai posti di direttore di fantozziana memoria.
Si concorre, si con-corre, è così, deve essere, siamo o non siamo un paese moderno? C’è chi ai concorsi affida tutte le proprie chances di esistenza, chi li frequenta così… per il gusto, perchè sono di moda. Sono così coreografiche quelle grandi masse che riempiono interi stands delle fiere: scenografia felliniana numero uno. I ragazzi sciamano tra le lunghe file di piccoli banchi e sedie pieghevoli di vecchio cinema parrocchiale. Si vedono facce nuove e di vecchie volpi del grande gioco che non demordono. “Ma tu c’eri quella volta a Verona? e a Roma? Con quel buffo tema di Pertini e il Papa?” La solenne dicitura di quel titolo era stata accompagnata dallo scoppio di una risata che aveva fatto uscire dai gangheri il presidente della Commissione. “Sì, quanto tempo è passato! Ma a Mestre non sei venuto, no?”
L’atmosfera è tesa come alla partenza della finale dei cento metri; le considerazioni di rito del direttore dei lavori passano quasi inascoltate, le matite trepidano sul dito di partenza, inizia la gara, si sente il frusicare delle biro sulla carta, il rumore dei calcoli mandati a mente in brevi giaculatorie; lo spirito della competizione più aspra è tangibile nell’aria. Non è questo il momento dei voli pindarici dell’immaginazione, ci si concentra. I concorsi sono uno spettacolo nella società dello spettacolo.
Tuttavia è noto che questi strumenti atti a garantire l’imparzialità e l’efficienza della pubblica amministrazione, congegnati in un paese di semianalfabeti, dove chi faceva la terza media aveva un titolo non da poco in mano, è noto che stanno pressochè paralizzando la pubblica amministrazione stessa. Correggere diecimila temi contenenti “le impressioni della cordialità nella storia (!): inconto di Pertini con il Papa sull’Adamello” è un impegno tale da assorbire fino all’esaurimento delle energie intellettive, ma anche dico, all’internamento in manicomio dei professori di lettere della commissione esaminatrice.
Quello che ci vorrebbe sarebbe un attento studio comparato di ciò che pensano gli Italiani dell’incontro tra Pertini e il Polacco; allora si capirebbero molte cose sull’ “Italia reale” contrapposta all’imbellettata immagine di modernità che la propaganda di regime ci offre.
Ma torniamo ai concorsi. Le esigenze di snellirli per stare al ritmo dela vita moderna hanno stimolato la fantasia degli amministratori, che sulle orme del sistema compiuterizzato di spoglio delle schedine del totocalcio hanno trovato il sistema di meccanizzare i “pubblici concorsi”: i quiz, siamo entrati nell’epoca dei quiz. Non è una cosa tecnicamente facile ridurre lo scibile umano in formato di quiz, come si sa.
Il moderno concorrente non consuma più le notti su poderosi volumi di Diritto Amministrativo, no, immagini di altri tempi. Il moderno concorrente legge l’elenco telefonico, cronometro alla mano: una gara contro il tempo. La nostra è la società dello spettacolo e ipubblici concorsi ne fanno parte integrante.
Come distinguere le carriere? Come si possono scoprire le capacità critiche con un implacabile, ottuso giudizio sintetico possibile con i quiz? Sì, ci sono delle difficoltà, ma anche queste saranno superate. L’America utilizza i quiz fin dai tempi scolastici e si sa che tutto quel che viene dall’America sconvolge giustamente le ridicole, insufficienti, cattive abitudini della vecchia Europa.
E le basse carriere? Come si fa a sintetizzare quel patrimonio di sapienza, sapienza positiva, fatta di elementi a volte impalpabili che fanno il mestiere, “l’arte”: un falegname, ad esempio, è un falegname non un risolvitore ufficiale di quiz logici. Come si disprezza così l’arte del padre adottivo del figlio di Dio!

Pubblici concorsi: distruzione. Distruzione della mia disperazione. Dio, sto male; non ho futuro. Sono tutti complici, proprio tutti indistintamente. Tutto si distrugga come in un big bang in miniatura, tutto giunga finalmente ad esplodere e poi più nulla, non più pubblici concorsi. 

Un testo pregno di verità. E la verità spesso fa male, malissimo.