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Ventiquattresimo post

11 Giugno 2015, 01:13

Beh, è un giorno speciale. Direi anzi un giorno focale nella mia vita, come nella vita di tutti quelli che, come me, oggi chiudono un’era iniziata ben 15 anni fa.
Oggi finiamo le scuole superiori, e con quest’ultima cena di “addio” appena passata, segnamo la fine di un lungo percorso di formazione umana cominciato ancora all’asilo.
Prima eravamo soli, figli dei nostri genitori e nipoti dei nostri nonni, null’altro. Non conoscevamo i nostri coetanei salvo il caso di qualche figlio di amico di famiglia o qualche cuginetta o cuginetto. Nell’innocenza della prima età, eravamo felci anche se sostanzialmente soli, accuditi dai nostri genitori e con la voglia di conoscere il mondo che ci spingeva, ogni giorno, a cercare, a capire, a chiedere incessantemente “Mamma, ma perchè…?”.
Siamo poi passati all’asilo, la prima esperienza con bambini della nostra età, ed è lì che abbiamo conosciuto il significato della parola “amicizia”. Ricordo ancora un piccolo aneddoto di quegli anni speciali, quando in montagna conobbi un bambino della mia età parlando attraverso un muro di mattoni cavi che delimitava il mio giardino dal suo: nel pieno della mia incoscienza, dissi a mia madre poco dopo “Ma mamma, è facile farsi un amico: basta sapere come si chiama e quando è nato!”. Questa è un po’ quell’età, un’età senza cattiveria o rivalità, un’età limpida e sana, onesta.a
Le elementari sono invece il quinquennio della prima svolta: piano piano si cresce e si comincia a conoscere davvero una persona, pur nell’innocenza di un bambino. E’ lì che iniziano le amicizie, con l’amico di classe con cui si gioca nel pomeriggio, o con il quale si fa qualche attività sportiva; sempre lì nasce il virus dell’emarginazione, con i bambini che fanno gruppo attorno ad un qualche capo riconosciuto, ed emarginano i “diversi”, spesso e volentieri più per le malelingue che sentono in casa che per altro (“ma sua mamma è una polemica! Magari pure comunista!). Non è necessariamente un periodo facile, perchè a quell’età certe cose non si comprendono: si vivono. E’ il perido delle feste di compleanno e dei giochi di squadra, delle lacrime in classe e dell’emarginazione nei giochi. Per me, non è stato un bel periodo nel complesso.
Il triennio delle medie è una chiave di volta più che una svolta in sè e per sè. Sono tre anni dove si apprende la sessualità e dove i contorni sociali del gruppo di bambini-adolescenti si fanno più marcati. Le bambine-ragazzine cominciano a voler sperimentare il bacio e anche qualcos’altro, i maschi entrano in competizione, eliminando con innocente brutalità i rivali più deboli. In un certo senso, sono anni di passaggio abbastanza ambugui. Per me sono stati anni di emarginazione vissuta tutto sommato bene: non concepivo il mio essere un ragazzo in una comunità, e la passione per delle nuove materie come la tecnologia e l’informatica mi facevano dimenticare quanto in realtà la mia vita sociale fosse triste e misera, annientata dai gruppi dominanti.
Ecco che si arriva alle superiori: i cinque anni che ti cambiano, davvero, la vita (per ora hahaha). Si cresce davvero, diventando man mano sempre più uomini e sempre meno bambini, imparando ad ammirare le bellezze dell’altro sesso e, soprattutto, innamorandosi. L’amore, che docle belva! E’ adesso, ancora abbastanza innocenti per cascarci ma allo stesso tempo abbastanza grandi per concepirlo, che si sperimenta questo colossale evento interiore. Pensieri e parole, stati d’animo, stati fisici, insonnia, mal di pancia, felicità irrazionale, insomma di tutto! Tutto per una bambina cresciuta, che non è ancora donna ma che, inconcepibilmente, ci attrae incredibilmente (e non parliamo del caso in cui sia nella nostra neonata classe!): è davvero un dolce incubo. Sono gli anni in cui abbandoniamo i nostri lati infantili, lasciamo nei cassetti le tute e chiediamo ai nostri genitori i jeans alla moda, le felpe e le magliette, mentre cerchiamo goffamente di pettinarci e di nascondere gli innumerevoli brufoloni che m
invadono la nostra faccina infantile e sbarbatella. Passano gli anni, e man mano che andiamo avanti ridiamo nel guardare indietro, nel vederci goffamente infantili anche nel giro di pochi mesi: E’ qualcosa di strano e difficilmente comprensibile, perlomeno io faccio fatica ancora adesso a capirne anche solo i tratti generali. Di certo è un periodo di mutamento, quasi una metamorfosi di cinque anni. Il problema viene ora però.
Fino a qui abbiamo avuto delle linee guida, qualcosa da seguire che ci ha mantenuti nella giusta direzione, rassicurandoci in quanto, dentro questa esistenza di continua metamorfosi, questo qualcosa rimaneva sempre stabile e fisso: parlo della struttura della classe, dell’insegnante che ci conosce e ci vede crescere, che ci guida. Parlo dell’essere in classe alle 8:10 ed uscire alle 13:10, il fare i compiti, l’avere le verifiche ed il non essere soli in tutto ciò, ma il soffrire assieme queste esperienze, come il gioire assieme: tanti ragazzi e ragazze (soprattutto ragazze, in quanto liceo classico) che, sebbene diversi e magari anche in disaccordo fra di loro, vivevano nella stessa barca, remando verso la stessa direzione

fino a dodici ore fa.

Ma adesso? Cosa succederà ora? Ora la classe non esiste più, da domani cammineremo soli verso il nostro incerto destino, senza un compagno con cui confrontarci, senza un professore da criticare assieme, senza verifiche da fare, senza la ricreazione ed i compagni che bruciano, senza sabato sera e senza vacanze estive! E’ tutto improvvisamente finito, nel giro di poche, pochissime ore: un mondo costruito in quindici anni, da quando le nostre famiglie ci hanno portati all’asilo ad oggi: una vita in comunità spazzata via nel giro di pochissimo tempo. Una vita finita in poche ore. Ora cosa succederà? Ora che siamo solo numeri in una società, singoli ragazzetti in grandi università da migliaia e migliaia di studenti, punti nel nulla, gocce nel mare… è una visione un po’ angosciante quella che ci si prospetta, non lo dico con enfasi. E’ la fine di una vita, la nostra unica vita sino ad ora, e l’inizio di qualcosa di molto, troppo incerto. Spaventoso, per certi versi.
Solo ora che concepisco l’entità di questa svolta apocalittica, ne ho davvero (un po’) paura.

Si vedrà, la vita è una lunga avventura, una missione da svolgere al meglio dopo tutto: se tante certezze si sgretolano, mille altre si spalancano: una fine è un inizio, e come diceva Papà Cervi, dopo un raccolto ne viene un altro

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